Ancora premesse per la tutela e valorizzazione
della lingua e della cultura friulana (anche a mezzo della RAI)
Come già si è visto, avevamo altri obiettivi che ci stavano a cuore.
Per continuare a perseguire quello della valorizzazione della lingua e della cultura friulana nella scuola ripresentai, con qualche piccola variazione, sempre in quella seduta del 17 novembre 1972, un ordine del giorno simile a quello presentato l'anno precedente e che era stato accolto dalla Giunta come raccomandazione. Questa volta il presidente Berzanti lo accolse senza la riserva "però sempre nei limiti delle sue competenze" (della Giunta).
Connesso a questo argomento, avevo presentato l'ordine del giorno n. 6: "Il Consiglio regionale, discutendo i bilanci preventivo 1973 e consuntivo 1971; avendo presente il testo della L.R. 28 agosto 1971, n. 43; tenuto conto che è opportuno che anche agli alunni del primo ciclo della scuola elementare venga distribuito un testo contenente elementari nozioni nello spirito della citata norma; a conoscenza del fatto che già Enti (mi riferivo in particolare alla Società Filologica Friulana - n.d.a.) hanno provveduto alla stampa di un primo libro adatto allo scopo; impegna la Giunta a sostenere la massima diffusione della pubblicazione già realizzata o di altre che venissero realizzate con identico scopo.
di Caporiacco."
Berzanti accolse questo ordine del giorno come raccomandazione.
Sempre come raccomandazione, Berzanti accolse anche l'ordine del giorno n. 8: "Il Consiglio regionale, discutendo i bilanci preventivo 1973 e consuntivo 1971; avendo presente il testo della L.R. 26 agosto 1971, n. 43, impegna la Giunta ad interessare le Case editrici regionali e nazionali (anche attraverso l'eventuale indizione di un concorso) affinché vengano al più presto realizzati i libri di testo che dovranno essere distribuiti agli alunni del secondo ciclo della scuola elementare e della scuola media dell'obbligo
di Caporiacco."
Altro obiettivo era quello della Rai-Tv .Per questo avevo presentato questi ordini del giorno: (n. 9) "...tenuto conto che un discorso di fondo viene portato avanti dalle Regioni a statuto ordinario riguardo alla regionalizzazione dei programmi televisivi; considerato che anche i giornalisti della Rai-Tv che operano nella nostra regione, con un documento in data 2.12.1971, hanno dimostrato di volere che nella riforma dell'Ente radiotelevisivo si tenga opportuno conto della necessità di regionalizzare le trasmissioni televisive; impegna la Giunta a mantenere stretti contatti con le Regioni che intendono portare avanti questo modo di concepire la Rai-Tv, affiancando con decisione ogni azione che tenda a realizzare una sollecita realizzazione dei programmi televisivi regionali, specie per il Friuli-Venezia Giulia, regione che ha particolari esigenze culturali e di informazione, che vanno soddisfatte, nel contesto di un arricchimento e di una doverosa salvaguardia di preziose identità.
di Caporiacco." e (n. 10) "....riferendosi all'ordine del giorno accolto come raccomandazione discutendosi i bilanci di previsione 1971 e consuntivo 1969, con il quale si sollecitavano interventi presso la Rai-Tv affinché venissero potenziate le trasmissioni radiofoniche dedicate al Friuli; rilevato che frequentissimi sono gli errori (storici, geografici, di pronuncia di toponimi e di cognomi) che tuttora si commettono in trasmissioni che riguardano il Friuli, impegna la Giunta ad intervenire con la necessaria decisione presso la Direzione centrale della Rai-Tv nonché presso la sede di Trieste affinché 1) si curino maggiormente le trasmissioni in generale, tenuto conto che il Friuli costituisce la maggior parte del territorio regionale; 2) venga messa in onda, ad ora opportuna, un notiziario in lingua friulana. Al riguardo va considerato che il gruppo ladino che risiede nel Trentino-Alto Adige (così come si legge sul 'Radiocorriere') 'Duc i dis da leur: Lunesc, merdi, juebia, venderdi y sada, dala 14 ala 14,20' ascolta 'Nutizies per i Ladins dla Dolomites de Gherdenia, Badia y Fassa cun nueves, intervistes y croniches.' La richiesta di un notiziario in friulano è caldeggiata dalla Società Filologica e da tutti gli enti culturali friulani, anche perché non si capisce perché la lingua friulana, che trova diritto di diffusione attraverso la radio in trasmissioni culturali, musicali e di varietà, non dovrebbe essere idonea anche per la trasmissione di un notiziario.
di Caporiacco."
Posto ai voti, l'ordine del giorno n. 9 fu approvato. Chiesi la votazione anche dell'ordine del giorno n. 10 che venne approvato con 23 sì, 18 no e 4 astensioni.   

Si apre la strada per la seconda università.
Il 14 febbraio 1973 iniziò la discussione del disegno di legge "Interventi regionali per lo sviluppo delle attività culturali nel Friuli- Venezia Giulia"; il 27 febbraio si chiuse la discussione generale e risultò che erano stati presentati 8 ordini del giorno, il primo firmato da chi oggi qui scrive.
Era un ordine del giorno "fiume" (si veda in "Atti consiliari", pagg. 15575,15576) in quanto - dopo la breve premessa "Il Consiglio regionale, discutendo il disegno di legge 'Provvidenze regionali per l'istruzione'; tenuto conto dei precedenti dibattiti sull'argomento dell'istruzione universitaria nella regione, dei voti espressi dal Consiglio in più occasioni e delle dichiarazioni rese dal Presidente della Giunta onorevole Berzanti il 13 giugno 1972 e il 17 novembre 1972 ("agganciavo" un'altra sua apertura, sia pur cauta  - n.d.a.), e in occasione della discussione dei bilanci; a conoscenza  che le sottonotate pubbliche amministrazioni, enti, associazioni, sindacati, ordini e collegi professionali, associazioni di emigrati, di studenti e di insegnanti, istituzioni, circoli e gruppi culturali ...." - ed erano elencati ed erano parecchi.
Era questo, in buona sostanza, l'elenco degli aderenti - fino ad allora - al Comitato per l'università friulana i quali "interpretano anch'essi la volontà democratica, popolare ed unitaria degli abitanti le province di Gorizia, Pordenone e Udine di ottenere, al più presto, una autonoma università..."
Dunque, io ero allora qualcosa di più e di meglio per il comitato e per il prof. Petracco che un semplice informatore (come appaio nel suo libro a pag. 48) e un passacarte (pag. 49), così come egli mi ricorda nel giugno del 1972: con quell'ordine del giorno rendevo noto al Consiglio regionale l'elenco completo e aggiornato degli aderenti al comitato al 27 febbraio 1973. L'elenco, naturalmente, lo avevo avuto da qualcuno. Me lo aveva passato Petracco?
Continuava quell'ordine del giorno riproponendo i punti a), b) e c)  dell'ordine del giorno discusso il 17 novembre 1972 e che era stato respinto, come si è detto.   
L'assessore Bruno Giust, dopo aver argomentato in merito, dichiarò (pag. 15585) di accogliere "come raccomandazione  l'ordine del giorno presentato da consigliere di Caporiacco (...)", che disse (pag. 15587): "Signor Presidente, egregi colleghi. Ricordo che il 17 novembre 1972, allorché presentai un ordine del giorno che, nella parte che impegna la Giunta, è identico a quello che ho avuto l'onore di presentare in sede di discussione di questo disegno di legge, la Giunta si pronunciò in maniera contraria. Oggi, prendo atto con viva soddisfazione che la Giunta quello stesso ordine del giorno che quattro mesi fa non aveva voluto accogliere lo accoglie come raccomandazione. La mia soddisfazione, signor Presidente, è ancora più viva dal momento che sono venuto a conoscenza del documento presentato dai colleghi della maggioranza, Del Gobbo (Dc), Pittoni (Psi), Dal Mas (Psdi), documento che è stato chiaramente illustrato dal collega Del Gobbo che ha parlato per tutti i firmatari. Quest'ultimo ha detto testualmente - e io me lo sono andato a sentire nel nastro magnetofonico - che oltre al potenziamento dell'università di Trieste (che continuate a fregiare con quell'aggettivo di 'regionale' che il Presidente della Giunta le ha negato), esiste anche l'impegno preciso di costituire a Udine il secondo ateneo. Ecco, sotto questo profilo, io credo che la data odierna, signor Presidente del Consiglio, sia veramente storica nel lento procedere verso la soluzione del problema universitario nella nostra regione. Pertanto, mi dichiaro soddisfatto che la Giunta abbia accolto come raccomandazione un' ordine del giorno che quattro mesi fa era stato respinto dal voto della maggioranza del Consiglio."
E' evidente quanto sofferto e contraddittorio fosse stato fino a quel giorno l'approccio che i partiti "nazionali" avevano  avuto sul problema dell'università del Friuli. Prima tutti contrari; poi qualche spaccatura a destra, nel Msi-Dn (consigliere Boschi); poi la netta presa di posizione dell'intero gruppo del Pci; adesso l'adesione - sia pure forse a denti stretti - della maggioranza Dc-Psi-Psdi.     
Ma bisognava insistere.
Clara Rossetti, nella già citata cronologia, pone sotto la data "1973, 27 marzo: ordine del giorno al Consiglio regionale di Di Caporiacco per una seconda università, a Udine." Si tratta di una indicazione errata, dovuta a una inesattezza dei miei appunti, ora rivisti: ciò accadde invece il 27 febbraio. Anche nel libro di Gianfranco Ellero, "L'Università del popolo friulano" (pag. 49)
c'è lo stesso errore sempre dovuto ai  miei appunti
L' ultima discussione in Consiglio regionale durante la quale riproposi testardamente il tema dell'università friulana fu quella riguardante il programma di sviluppo economico e sociale del Friuli-Venezia Giulia per il quinquennio 1971-1975 e il piano urbanistico regionale generale.
Questo dibattito iniziò il 10 aprile 1973 e si concluse il 19.
Il giorno seguente il prof. Petracco, "con sorpresa" (così scrive a pag. 63  del suo libro) lesse sul "Messaggero Veneto" "che il consigliere di Caporiacco aveva 'ritirato un suo ordine del giorno sull'Università a Udine, dopo che il presidente Berzanti aveva ribadito la volontà politica di risolvere il problema universitario nella regione, sulla falsariga dei precedenti espliciti impegni della Giunta e di una valutazione attenta delle conclusioni alle quali sarebbe giunta l'apposita Commissione regionale!'"
A parte il punto esclamativo posto tra le virgolette (e quindi da Petracco arbitrariamente attribuito al quotidiano!), va tenuto conto che allora io facevo parte del comitato che lui presiedeva e quindi, anziché sorprendersi, poteva rendersi conto, semplicemente chiedendomeli,  dei motivi che mi avevano indotto a ritirare quell'ordine del giorno. Forse non avrebbe avuto motivo per sobbalzare sulla sedia.
I fatti sono questi.  L'ordine del giorno (n. 1, pagg. 16699, 16700) così recitava:
"Il Consiglio regionale, considerato che nel programma regionale di sviluppo economico e sociale per il quinquennio 1971-1975 e nel piano regionale urbanistico si formulano ipotesi di evoluzione del sistema universitario; tenuto conto che la Giunta regionale ha accolto come raccomandazione, nella seduta del Consiglio regionale del 27.3.1973 (questa data, che pure appare negli "Atti consiliari, è - come detto - errata: quell'ordine del giorno fu presentato discutendosi il disegno di legge 387 e la proposta di legge 393, il 27.2.1973 -n.d.a.), un ordine del giorno impegnandosi ...(e qui seguivano integralmente i punti a, b,.c del precedente o.d.g. del 27-2-1973) .... considerando l'ampia convergenza di forze politiche e popolari sul problema; impegna conseguentemente la Giunta ad armonizzare le ipotesi contenute nei due documenti programmatici con gli impegni assunti e le emergenti necessità dello sviluppo universitario, rispondendo così adeguatamente ai bisogni della popolazione scolastica di tutto il territorio regionale, in notevole percentuale costretta a frequentare università fuori del Friuli-Venezia Giulia, e alla volontà popolare chiaramente espressa.
di Caporiacco."
Il testo di questo ordine del giorno rispondeva alla nota strategia: muovere da un risultato conseguito (l'accoglimento di analogo documento da parte della Giunta meno di due mesi prima) e cercare di ottenere un risultato ancora più positivo.
Alla stragrande maggioranza delle persone di buon senso credo apparirà evidente che - constatato che più avanti non si poteva andare - sarebbe stato solo da sciocchi compromettere con un sicuro voto negativo dell'assemblea un risultato in precedenza raggiunto.
Infatti, dichiarai (pag. 16748) " Io, signor Presidente,  prendo atto delle dichiarazioni del Presidente della Giunta e non potendo esporre l'ordine del giorno ad un possibile voto negativo, lo ritiro!"
Ma si legga che cosa aveva detto Berzanti (pag. 16738): "Il problema vero è che sulla base di quelle che saranno le risultanze della commissione di studio che è stata insediata e che sta per concludere il suo lavoro (commissione formata dalle rappresentanze della Regione, dell'università e degli enti locali) si facciano tutti i passi necessari per dare agli studenti che intendono frequentare l'università nella nostra regione, la possibilità di avere nelle sedi più idonee le strutture universitarie. Noi in questo senso ci siamo impegnati e stiamo portando avanti la nostra azione, senza volere né precipitare i tempi, né porre remore che non siano effettivamente giustificate. Io pregherei pertanto il consigliere di Caporiacco di voler prendere atto di queste deliberazioni e di non insistere sulla richiesta di votazione."
Anche oggi, a distanza di tanti anni, mi pare di aver fatto bene a non insistere nel chiedere una votazione - che certamente avrebbe  "bruciato" quell'ordine del giorno. Che poi, la mattina seguente, il prof. Petracco si sia "stupito" (e questo stupore - pur a distanza di tanti anni abbia voluto ricordare nel suo libro - non mi stupisce.
E che noi allora, sia pure ancora per qualche settimana (la seconda legislatura era alla fine), cercavamo di non fare gli oltranzisti ma di svolgere una azione politica alla quale eravamo stati chiamati dalla gente e per la quale eravamo anche pagati..   

Tra la metà del 1973 e la "diserzione" dal comitato Petracco (dicembre 1975)

Terminato il tempo in cui fui consigliere regionale rientrai - senza traumi - nella vita "normale". Ero ancora consigliere comunale di Udine, indipendente, insieme all'amico Gianfranco Ellero.
Sulla scena politica regionale si era registrato un fatto nuovo: dopo le elezioni regionali della terza legislatura, dal 30 luglio 1973 era stato eletto presidente della Giunta l'avvocato Antonio Comelli.
Berzanti, che pure era stato rieletto consigliere regionale, fu per circa un anno e mezzo presidente del Consiglio.Mi pare ineludibile esprimere, a distanza di tanti anni, un giudizio su questo uomo politico che noi vedemmo - entrando in Consiglio regionale nel 1968 - come il "proconsole di Roma " (definizione di Fausto Schiavi).
Non è qui il caso di esprimere un giudizio complessivo sulla politica di Berzanti, uomo pragmatico e decisionista (e lo poteva essere anche considerando che, specie nella seconda legislatura, i consiglieri Dc sedevano su quasi la metà dei seggi).
Tuttavia, anche alla luce di questa "rivisitazione" degli avvenimenti legati al tema dell'università friulana e della tutela e salvaguardia della lingua e della cultura friulana, non si può non riconoscere che Berzanti ebbe sicuramente la capacità di barcamenarsi, non ostacolando l'incerto evolversi del problema, specialmente all'interno del suo partito e della maggioranza di centro sinistra, ma cogliendo ogni occasione per lasciare che il difficile processo maturasse in senso favorevole per il Friuli.
Non fu certo protagonista, uomo di punta, vessillifero (ma chi lo fu?), ma accorto ad intendere i cambiamenti che certo non  ostacolò.
Con l'elezione di Comelli noi ricordammo l'uomo che il 2 febbraio 1971, in un momento particolarmente difficile nella evoluzione del problema universitario, aveva coraggiosamente annunciato l'istituzione della facoltà di Agraria a Udine, dando così un segnale preciso anche a noi. Non potevano anche dimenticare, sul piano personale, che Comelli era stato uno dei due consiglieri regionali (l'altro fu Enzo Moro) che aveva intrattenuto con noi, da quando eravamo entrati in consiglio, un atteggiamento civile. Gli altri, tutti gli altri, inizialmente nemmeno ci salutavano perché ci consideravano fuori dal recinto della democrazia che loro s'illudevano di sorvegliare.
E così, tornati semplici cittadini,  parlammo a Comelli di un quindicinale che intendevamo, Ellero e io, fondare: il "Corriere del Friuli". Per il quale avevamo bisogno - scrupolosamente secondo quanto previsto dalle leggi regionali - di ottenere un contributo per coprire le spese di stampa. Così il 15 ottobre 1973 uscì il primo numero di questo giornale che si pubblicò, tra molte difficoltà, fino al 1985 (si tenga presente che il 23 ottobre 1984 diventò presidente della Giunta Adriano Biasutti, e con lui, da quelle colonne, certamente non eravamo soliti esprimere tenerezze: chi ha orecchie per intendere intenda!).
Dai banchi del Consiglio comunale, ma specialmente dalle colonne di quel giornale, Ellero e anch'io continuammo ad occuparci con testardaggine del problema universitario.Avevo anche ripreso la collaborazione  a "Friuli sera" ( sospesa all'atto della presentazione della candidatura al Consiglio regionale, in aprile 1968).
Ma testardamente continuavamo ad occuparci del tema dell'università. Presentammo, il 9 maggio 1974, come semplici cittadini, una petizione popolare "sulla istituzione in Udine di una sede di Università autonoma".
La petizione fu discussa, insieme a mozioni, interpellanze e interrogazioni, nella seduta del Consiglio del 9 luglio 1974.
Era stata decisiva la presentazione da parte del gruppo del Pci, ovvero del più numerosi gruppo di opposizione, di una mozione nella quale - rompendo ogni residuo indugio - ci si dichiarava apertamente per due sedi universitarie, accettando tuttavia il principio (che si sapeva che nel tempo sarebbe "saltato") della "non concorrenzialità".   
Ci scrisse il 18 il presidente del Consiglio (era stato eletto a questa carica Berzanti): "Al termine del dibattito apertosi sull'argomento dal Presidente della Giunta regionale (nota - era stato eletto Comelli), l'Assemblea ha votato un documento con il quale, nell'auspicare il potenziamento dell'Università di Trieste, ritiene necessaria anche la creazione di un secondo Ateneo in Udine."
Dunque, la strada era aperta!
   

Accadde anche un fatto imprevisto. All'inizio del 1975 cominciò a scricchiolare il seggio di sindaco di Udine sul quale stava il prof. Bruno Cadetto. Di fronte alle sue improvvise e impreviste dimissioni i partiti della maggioranza erano spiazzati: bisognava trovare un sostituto per poco tempo, fino alle imminenti elezioni. Si fece il nome di Angelo Candolini, ma i voti per eleggerlo non erano sufficienti. Angelo Candolini era stato, negli anni precedenti, un nostro fiero avversario. Aveva teorizzato che in Italia - e quindi anche nel Consiglio comunale di Udine - esistevano partiti costituzionali (cioè quelli che avevano discusso e approvato la Costituzione), un partito anticostituzionale (il Msi-Dn), e un partito acostituzionale, cioé fuori dalla Costituzione, che sarebbe stato il Movimento Friuli. Non occorre argomentare molto, specie alla luce di quanto poi accaduto e accade nella vita politica italiana, per concludere che quel suo giudizio era profondamente sbagliato.
In Friuli è facilissimo prendere cappello per poco (anche in questo scritto vi è un esempio eclatante di tale atteggiamento!), ma né Ellero né io lo prendemmo nei confronti di Candolini. Offrimmo, del tutto disinteressatamente, i nostri due voti, determinanti per l'elezione del nuovo sindaco.
A distanza di tanti anni, entrambi siamo convinti di aver dato a Udine un grande sindaco, un sindaco che ha contribuito non poco a portare avanti le iniziative che condurranno ad ottenere l'università e l'approvazione della legge 482, nel 1999.
Eravamo, come si è detto, a pochi mesi dal rinnovo del Consiglio comunale. Sui quotidiani locali comparve la notizia che la Dc udinese aveva in animo di presentare Ellero e me candidati per la nuova tornata amministrativa. Ringraziammo per l'attenzione, ma fermamente rifiutammo.
Così entrambi tornammo ad essere semplicemente cittadini, impegnati attraverso le colonne del "Corriere del Friuli" entrambi e di "Friuli sera" (particolarmente chi scrive) a proseguire le vecchie battaglie, ma anche a cercare di evitare le derive del movimento al quale avevamo appartenuto. Non mancarono, dunque, le polemiche con i dirigenti del Movimento Friuli ma anche con parte del clero e - addirittura - con monsignor Arcivescovo di Udine, Alfredo Battisti.
Continuavo ad essere aderente al comitato del prof. Petracco, comitato la cui azione sembrava - anche a Ellero - piuttosto statica. Statica non solo per la mancanza di dinamismo organizzativo ma, soprattutto, per la mancanza di elaborazione di
una strategia politica. Il comitato, in sostanza, continuava a non tener conto che i tempi stavano cambiando, ma soprattutto erano cambiati gli uomini ed era mutata la posizione di quasi tutti i partiti. Quindi, alla posizione "contro i politici e i partiti" andava sostituita una posizione più costruttiva. E certo non potevano per noi definirsi costruttive quelle azioni che si manifestavano con i contatti con l'università di Padova in particolare. Un altro punto di dissenso era la richiesta di una serie di facoltà, tra le quali principalmente medicina, sostenendo che non ci sarebbe stata università se non avesse compreso questa facoltà. A parte il fatto che esistono, in Italia e in Europa, numerose università che non hanno la facoltà di medicina, a noi questa insistente richiesta suonava come eco di quella rivendicazione del 1965-66, che aveva dietro spinte e persone che noi ben conoscevamo. 
Per noi, invece, era essenziale comprendere i mutamenti avvenuti in seno ai partiti politici (nel Pci, in particolare), cogliere i segnali che venivano da Comelli, accettare anche soluzioni di compromesso temporaneo con Trieste.
In sintesi, possiamo dire che noi eravamo diventati possibilisti (avendo vissuto la fase oltranzista); il comitato - nato, si ricordi, con la convinzione che il problema poteva essere in breve e quindi facilmente risolto - era diventato oltranzista.
Il 16 dicembre 1975 fui convocato come tutti i membri  per ascoltare la relazione del presidente sul "d.d.l. d'iniziativa popolare per l' 'Istituzione dell'Università statale del Friuli'" che si specificava "proposto da un gruppo di aderenti a questo Comitato".
Si trattava, come è evidente, di discutere una proposta che rappresentava unicamente il progetto di un gruppo di aderenti.
Si aprì il dibattito e io trascrivo quello che il prof. Petracco espone a pag. 131 del suo postumo libro, sotto il titolo "Contromosse avversarie e diserzioni".
"Lessi la relazione di presentazione della proposta di legge popolare, con le motivazioni per le scelte delle facoltà richieste. Nel dibattito molto animato che ne seguì, generalmente favorevole, vennero risolti i contrasti con prè Checo Placereani; ma mi stupì la presa di posizione del geom. Gino di Caporiacco."
Segue un incomprensibile "fervorino". "Egli era stato accolto con soddisfazione di tutti tra i membri del Comitato per i suoi meriti nelle agitazioni studentesche del 1966-67 in rivendicazione della Facoltà di Medicina e per il suo fiero spirito combattivo."
La verità vuole che si chiariscano due punti: non ebbi alcun merito nelle citate agitazioni studentesche (scrissi, come documentato, qualche lettera al direttore del "Messaggero Veneto" e basta); non fui "accolto con soddisfazione" da nessuno per il semplice fatto che fui partecipe della fondazione del comitato, dove tutti i presenti non ebbero bisogno di accoglimento.
Continuiamo a leggere Petracco.
"Ma in questa assemblea, dopo aver manifestato (com' è nel verbale) 'perplessità circa la possibilità di far seguire alla proposta di legge il suo iter senza un aggancio ai Partiti che hanno espresso nella seduta del Consiglio regionale del 9.7.1975 il parere favorevole all'Università autonoma (il lettore tenga conto che questo pronunciamento era uno dei frutti della nuova politica di Comelli- n.d.a.) aggiunse di ritenere che si doveva 'tener conto del progetto dei comunisti e che l'Università proposta (dal Comitato) non assolverebbe il compito di valorizzare la cultura friulana e che essa comporterebbe una spesa doppia nella Regione'; e dichiarò di volersi astenere dal voto di approvazione dell'operato del Comitato."
Si tenga conto che non sono nelle condizioni di controllare il verbale citato tra virgolette ma penso di poterlo sottoscrivere ad eccezione dell'ultima affermazione che sicuramente è una distorsione del mio pensiero.
Quale era il mio delitto? Uno, magari solo, in quella assemblea aveva  espresso la propria opinione e - non opponendosi a quella della eventuale maggioranza - dichiarava di non volerla condividere astenendosi. Gravissimo delitto! Bisognava essere tutti d'accordo!
Ma qual era il mio pensiero? Pensavo che, con la proposta di legge di iniziativa popolare - qualora la raccolta di firme avesse avuto lo sperato successo (il comitato pensava di raccoglierne al massimo 50.000) - si sarebbe introdotto un elemento di rottura tra l'azione dei parlamentari e dei loro partiti politici (azione che, secondo me, stava evolvendo positivamente). Del resto neppure il dr. Tremonti, uno dei membri di spicco del comitato, si dimostra tuttora convinto che quella iniziativa non sarebbe stata decisiva. Ha scritto, infatti, (pag. XII), commentando il successo della raccolta delle firme: "Avevamo fatto un decisivo passo avanti, ma si sa che il nostro Parlamento (con scarsa democraticità) non ha forse mai approvato una proposta di legge di iniziativa popolare." Aggiunge "La questione era però ormai portata ad di fuori del ristretto ambito locale e finalmente i nostri parlamentari poterono inserire, sorretti dalla pressione che continuammo a fare, l'istituzione dell'Università di Udine nella Legge per la ricostruzione del Friuli." Insomma, in ultima analisi, senza l' impegno dei politici.... 
Torniamo all'assemblea del comitato. Continuiamo a leggere ciò che ha scritto Petracco.
"L'ing. Luigi Leita espresse vivacemente la sua meraviglia per quella dichiarazione, che contrastava  con le posizioni passate del di Caporiacco; cosicché, dopo uno scambio di battute anche con i dottori Terenzano e Tremonti, i quali stavano preparando l'o.d.g. di approvazione, il di Caporiacco, non volendo dare il suo assenso, si allontanò dall'assemblea."
Vediamo - con documenti alla mano - quello che era accaduto. L'ing. Luigi Leita - non so da chi ispirato - si era scagliato contro di me accusandomi di collusione non solo con partiti politici ma anche con  imprecisati "baroni" universitari.
Andatomene (anche perché così garantivo quella unanimità gradita dai convenuti, ma profondamente antidemocratica), scrissi il 17 a Petracco: "Egregio Professore, a causa del clima di intolleranza evidenziatosi nel corso della Assemblea Generale del Comitato tenutasi a Udine il 16 c.m., intolleranza non solo verso le opinioni altrui, ma anche verso le altrui azioni (con particolare riferimento a quelle passate), mi vedo costretto a rassegnare le dimissioni da membro del Comitato, del quale sono stato onorato di far parte fin dalla fondazione." 
Mi rispondeva il 20 Petracco: "Egregio Geometra, prendo atto con rammarico della Sua decisione di rassegnare le dimissioni da membro di questo Comitato, considerando il Suo lungo e deciso impegno nella battaglia comune. Confido comunque che Ella vorrà giudicare l'eventuale diversità di vedute sul metodo dell'azione, come sui contenuti da noi proposti, meno importanti del fine ultimo da conseguire, sul quale anch'Ella concorda. Gradisca sempre cordiali saluti e i migliori auguri di Buon Natale."
Il 18 dicembre avevo scritto anche all'ing. Leita. "Egregio Ingegnere, scrivendoLe potrei anche far torto alla Sua memoria, se Lei è in buona fede. E' documentabilissimo che io ho sempre sostenuto la causa dell'Università friulana, fin dalla fine del 1965. Quella causa ho sostenuto e sostengo non , però, per il gusto semplicistico di opporre il campanile di Udine a quello di Trieste. A questo proposito La rimando agli atti consiliari del Consiglio Regionale del Friuli-Venezia Giulia, dal maggio 1968 all'aprile 1973. Se ciò non Le basta, la invito a rileggere (o a leggere per la prima volta, ma allora si dimostrerebbe poco informato) un articolo comparso sul "Corriere del Friuli" il 31 luglio 1974 (quindi non ieri l'altro). Quanto ai 'baroni' e ad altre insinuazioni, Le dirò - in tutta confidenza - che ho fatto il callo a un simile tipo di aggressione e quindi Lei non ha neppure il tenue merito di essere originale. Ad ogni buon conto sono a Sua completa disposizione per dimostrarLe, documenti alla mano, che Lei ha mentito attribuendomi posizioni che non ho mai assunto. Per le insinuazioni, spetta a Lei fornire le prove. La invito a farlo come e quando vuole. Distinti saluti."
Mi rispose il 21 dicembre l'ing. Leita. Riporto solo la conclusione della sua lettera:" Preferisco scusarmi se ho espresso male il mio pensiero e sperare che voglia continuare a dare il Suo prezioso appoggio al COMITATO anche se ha adottato una linea da Lei non pienamente condivisa."
Avvertendo che questi documenti sono depositato presso l'archivio di Stato di Udine, a disposizione di chi volesse confrontarli, dichiaro che mi è pesato parecchio scrivere di questo marginale episodio. Ma mi è toccato rispondere non tanto al prof. Petracco, che non può leggere queste righe, ma ai due curatori del suo postumo volume, al rettore dell'Università di Udine, prof. Marzio Strassoldo e al  presentatore dott. Marino Tremonti.
Ritengo che una accurata revisione del testo avrebbe evitato che io apparissi come l'unico "disertore" dal comitato (pag. 131 - "Avendo poi ripetuto la sua decisione per lettera, uscì  definitivamente dal Comitato, nella cui storia ventennale fu quella l'unica defezione dichiarata."). Ci furono, dunque, altre defezioni di fatto, ma si punta il dito solo nei confronti di chi ebbe motivo di andarsene e lo fece non disertando, ma dimettendosi.
Agli stessi curatori, rettore e presentatore, non posso fare a meno di contestare l'opportunità di aver dato spazio a spunti polemici del Petracco contro di me  e contro Ellero (per articoli sul "Corriere del Friuli" e su "Friuli sera" ecc.). E' chiaro che i grandi meriti del presidente del comitato risultano oscurati dalla sua manifesta acredine per chi aveva osato esprimere critiche e anche dissensi per certe prese di posizione. Bisognava essere tutti d'accordo, lodare e incensare.
Perché - al di là degli indubbi meriti di Petracco e di tutti quelli che si sono battuti per l'università (noi compresi)  - resta da dare una riposta a questa domanda: la raccolta delle firme sulla proposta di legge di iniziativa popolare avrebbe avuto lo stesso successo nello stesso tempo impiegato se non fossero sopravvenuti i sismi del 6 maggio e 15 settembre 1976? E c'è un' altra domanda che legittimamente va posta: siamo certi che la riposta del Parlamento della Repubblica sarebbe stata così sollecita se non vi fosse stato tutto un lunghissimo periodo preparatorio, iniziato ben prima della nascita del comitato e non portato avanti solo dal comitato, risposta principalmente propiziata dalla spinta emotiva derivante dal terremoto, sicché la concessione dell'università al Friuli  fu più una sorta di atto compensativo per i morti e per le distruzioni che il riconoscimento pronto di una richiesta popolare che reclamava un diritto?
E con queste domande - alle quali siamo naturalmente incapaci di rispondere - poiché per il Friuli ci siamo successivamente occupati anche di altri argomenti,  come vedremo, sull' università e sul libro di Petracco abbiamo concluso. 
Dobbiamo solo ricordare che continuammo a interessarci dello sviluppo della istituita università, sia dalle colonne del "Corriere del Friuli", sia da quelle di "Friuli sera" (fino al maggio 1978, perché allora morì il suo animatore Alvise De Jeso e il giornale morì con lui).
Proprio il "Corriere del Friuli" organizzò, il 23 gennaio 1981, un dibattito nell'aula magna della scuola media "Manzoni", a Udine, dibattito sul tema "L'università di Udine a 3 anni dall'istituzione: problemi e prospettive". Intervennero i giornalisti de "Il punto", "il Gazzettino", "Messaggero Veneto", "Rdf", "La vita cattolica", "Voce Isontina" (di Gorizia). In sala l'on. Baracetti, il sindaco di Udine Candolini, Vittorio Tiburzio, assessore socialista del Comune di Udine del quale avremo modo di parlare più avanti. 

 Dopo il terremoto; la legge per la ricostruzione (8.8.1977);
le due prime proposte di legge per la salvaguardia e valorizzazione
della lingua e della cultura friulana.
        

I friulani, come gli altri italiani, votarono mentre ancora la terra era scossa dai sismi. Baracetti, dimessosi da consigliere regionale, fu eletto deputato. Si cominciò a discutere in Parlamento il testo di quella che sarebbe diventata, l' 8 agosto 1977,
la legge n. 546 per la ricostruzione del Friuli che conteneva anche l'articolo che istituiva l'università di Udine. Sicuramente, relativamente a questo argomento, ebbe grande importanza anche la raccolta di firme organizzata e portata avanti dal comitato presieduto dal prof. Tarcisio Petracco.
Ma, senza nulla togliere agli altri parlamentari friulani, protagonista fu sicuramente Arnaldo Baracetti. A lui si deve - è risaputo - il testo dell'articolo nel quale si indicano gli indirizzi che l'università di Udine avrebbe dovuto seguire. Per la prima volta nella legislazione della Repubblica la lingua e la cultura friulana facevano il loro ingresso ottenendo così un primo, sia pure indiretto, riconoscimento.
Ma Baracetti intendeva andare oltre. Ci scriveva il 7 maggio 1977: "Caro Gino, ti faccio avere copie della prima bozza di legge - tuttora perfettibile - per la valorizzazione della friulanità. Tra pochi giorni avremo pronta anche la relazione (bozza) che l'accompagna e poi procederemo ad un ampio dibattito interno ed alla raccolta di valutazioni e di arricchimenti. Cercherò anche firme di parlamentari friulani di altri partiti. Sarò molto lieto di conoscere le tue valutazioni. La legge puoi discuterla anche con altri.Grazie ed arrivederci."
Come si vede, Baracetti procedeva con decisione, intanto all'interno del Pci, già prima della approvazione della legge 546.
Questo spiega il "taglio" che darà al testo della legge, delineando i compiti della nascente università.
 La nostra amicizia risaliva agli anni giovanili (anche se allora eravamo su posizioni decisamente contrapposte); si era fortificata - dopo un primo periodo di scontri anche vivaci - negli anni del Consiglio regionale; poi, anche attraverso il "Corriere del Friuli", dopo la mia uscita da quella assemblea era diventata più forte. Frequentemente ci vedevamo, nelle prime ore del mattino, nella sede del Pci di viale Duodo per discutere di questi argomenti. Anche Gianfranco Ellero - come si vedrà - era partecipe di questi progetti. 
Il 9 luglio, altra lettera di Baracetti. " Mi permetto di inviarTi, per dovere d'informazione, il resoconto stenografico con gli interventi svolti alla Camera sulla legge speciale e altro materiale attinente gli ultimi emendamenti approvati in aula. Cordialmente." Era questa una lettera standard, battuta a macchina e Baracetti, di pugno, l'aveva indirizzata "Per il fraterno amico Gino Di Caporiacco" alla fine aggiungendo "e con tanta stima".
Il 17 dicembre, altra sua lettera. "Caro Gino, anche per Gianfranco (ecco che appare anche Ellero - n.d.a.), vi allego sia la copia della relazione che della p.d.l. Con questi testi (approvati dal Gruppo parlamentare nazionale del Pci) per decisione degli organi dirigenti locali e regionali del Pci si va al dibattito pubblico, aperti a recepire proposte migliorative di studiosi, di circoli culturali, degli altri Partiti e gruppi parlamentari.
Noi proporremo agli altri gruppi parlamentari di firmare assieme la proposta di legge. Se però non fossero d'accordo noi, comunque, nel febbraio 1978, la presenteremo da soli. Desidero, ancora una volta, ringraziare te e Gianfranco della vostra battaglia di più anni che ha stimolato me ed il Pci ad andare avanti su questa strada, come del concreto e prezioso contributo che ci avete dato al miglioramento sia della relazione che della p.d.l. Sono sicuro che anche ora darete un importante a che il dibattito vada avanti positivamente. Con tanta stima e cordialità tuo e vostro Arnaldo."
Subito dopo l' 1 dicembre 1977 (non c'è la data) " Caro Gino, in via ancora riservata, ti faccio avere il testo definitivo approvato dal Gruppo parlamentare nazionale a Roma il 1°/12/77. Ciao."
Baracetti era convinto di avere la strada libera e quindi di poter presentare alla Camera quella proposta di legge. Non aveva fatto bene i conti con la ostinata opposizione dell'on. Alessandro Natta, allora suo capogruppo. A Natta, evidentemente, quella proposta di legge non piaceva. E, per contrastarne la presentazione, si aggrappava ad argomenti tutt'altro che trascurabili. Chiedeva: dov'è l'effettivo interesse politico per questa iniziativa?; perché altri deputati friulani dei vari partiti non se ne occupano?; il dibattito esterno al Pci - che pure si era cercato di suscitare - ha dimostrato quelle calorose adesioni che Baracetti e i suoi amici si aspettavano?
Perché così si era verificato: effettivamente in Friuli quella importante proposta era stata accolta con molto scetticismo.
Dunque, per rompere il subentrato stallo, occorreva che a Baracetti fosse offerto un argomento importante in sede parlamentare, un argomento che dimostrasse a Natta che anche deputati di altri partiti, meglio se della maggioranza, erano disponibili a presentare una analoga proposta di legge.
Chi scrive si guardò attorno. Pensò subito all'on. Martino Scovacricchi, vecchio amico di famiglia, che era stato  insegnante di italiano allo "Zanon" della moglie Milvia, che nel Consiglio comunale di Udine, tra il 1970 e il 1975, aveva più volte dimostrato di condividere certe nostre impostazioni, genero di Tiziano Tessitori, il padre della Regione. Scovacricchi era un autorevole esponente del Psdi,  quindi della maggioranza. Avrebbe accettato?
Scovacricchi accettò subito. Furono stesi a tamburo battente la relazione e l'articolato; la proposta di legge venne depositata il 16 maggio 1978 con il numero 2187. Baracetti, saltando da Natta, si appellò direttamente al segretario del Pci, Enrico Berlinguer, che - essendo sardo - era più sensibile del capogruppo piemontese: ecco la prova dell'interesse politico suscitato in Friuli. Berlinguer approvò eNatta fu costretto a dare via libera. La proposta di legge, sottoscritta da  Baracetti, Colomba, Cuffaro e Migliorini  fu presentata il 24 maggio (8 giorni dopo!) e le fu dato il numero 2214.
Subito Baracetti mi scrisse: "Caro Di Caporiacco, ti accludo il testo della p.d.l. presentata giovedì 25 alla Camera. Entro 8-10 giorni appena la Tipografia di Montecitorio l'avrà stampata, ti farò avere la p.d.l. 'ufficiale', Saluti fraterni."
Ma le due iniziative parlamentari finirono sostanzialmente  nel cassetto.
Il 22 dicembre 1978, Baracetti mi scrisse: "Hai visto che abbiamo convocato per il 19 gennaio un convegno sui problemi della legge e della cultura? Verrà anche Giovanni Berlinguer. Bene il 'Corriere' ultimo. Ringrazio te e Ellero."
Appare chiaro che nel Pci c'era chi si dava da fare con convinzione per sostenere la propria  iniziativa parlamentare. Il nostro "Corriere del Friuli" cercava di dare una mano, ma era una voce abbastanza flebile e isolata. 
Finita la settima legislatura, le due proposte di legge, come di norma, decaddero. Bisognò ripresentarle nuovamente.
Nel frattempo si stavano per svolgere, nella primavera del  1980, anche le elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale di Udine. Baracetti mi propose di essere candidato nella lista del Pci. Mi consultai, come sempre, con Gianfranco Ellero. Era utile alla causa di quelle proposte che ci fosse anche chi le sosteneva dal Consiglio comunale di Udine? Decidemmo insieme che era opportuno. Fui eletto anche con un decente numero di voti di preferenza. Mi venne irresistibilmente da ridere ripensando a quell'articoletto malvagio apparso sul quotidiano del Pci in estate del 1972 ("Un portatore d'acqua della Dc") e agli attacchi che avevo dovuto subire anche all'interno del Consiglio da parte di colleghi di quel partito che adesso mi aveva messo in lista e fatto eleggere.
Baracetti, questa volta ottenendo che la proposta fosse sottoscritta anche da Spagnoli, Giovanni Berlinguer, Ferri, Casalino e Virgili, presentò sollecitamente la proposte di legge, il 14 maggio 1980. Ebbe il numero 1678.
Scovacricchi, senza bisogno di sollecitazioni,  era pronto a ripresentare anche lui la sua proposta di legge. Alquanto sorpreso che fossi stato candidato eletto nella lista del Pci, mi scrisse sul retro dello stampato parlamentare che la precedente proposta:
"Roma, 11.6.1980 - Caro Gino, ho seguito la tua vicenda elettorale, che ho interpretato come una volontà di servizio per realizzare dei fini che hai sempre perseguito. Sono pronto a ripresentare la pdl e ti prego, se ne avrei ancora la pazienza, di indicarmi gli aggiornamenti che dovrò apportare. Un saluto affettuoso anche a Milvia." Così la ripresentò.
Il 22 agosto fu pubblicato su "Rinascita" (n. 33, pag. 16) un importante contributo di Tullio De Mauro (attualmente - dicembre 2000 - Ministro della pubblica istruzione, intitolato "Le nazioni proibite" che così si concludeva: "Nel suo ultimo congresso, il Partito comunista italiano ha deciso di scrivere a chiare lettere, nella premessa generale al suo Statuto, che considera suo compito generale la lotta per affermare i diritti delle minoranze linguistiche e nazionali. Ma, come mostra l'esempio di Gaetano Arfè, anche il partito socialista è interessato a ciò, a parte parecchi gruppi e movimenti locali di ispirazione democratica. E la Chiesa è impegnata in prima linea tra albanesi di Sicilia, zingari, friulani. Forse, per le minoranze (o per la maggioranza?) sta per venire la volta buona."
I socialisti Sacconi, Labriola, Francesco Forte. Fiandrotti, Mario Raffaelli, Fortuna, Andò, Casalinuovo, Marte Ferrari presentarono il  24 ottobre una loro proposta di legge (n. 2068) indicando come soggetti di tutela "le comunità d' origine tedesca, francese, catalana, slovena, croata, albanese, greca, occitano-provenzale, ladina, ladina-friulana..."
Mi proposi che la mia attività in Consiglio comunale di Udine sarebbe stata particolarmente indirizzata a far pervenire a Roma segnali che quelle proposte di legge dovevano essere discusse e approvate.
Era  ancora sindaco Angelo Candolini con il quale, anche a beneficio della platea che molto mostrava di divertirsi, ebbi vibranti scontri ma con il quale, a poco a poco, si instaurò una fattiva collaborazione e anche una sincera amicizia.
Il 4 febbraio 1981 un gruppo di deputati del Pci presentò la proposta di legge n. 2318 "Norme di tutela delle minoranze linguistiche." Era un ampliamento del tema riguardante solo il friulano. 
In quei giorni la "Lega democratica", movimento dei cattolici democratici, aveva tenuto a Udine un convegnio nazionale sul tema "Le minoranze linguistiche in Italia: comunità etnico-linguistiche non tutelate e Stato democratico". Su "' Unità" fu pubblicato, l' 8 febbraio, un mio commento nel quale scrivevo che "mentre la tesi di Galloni è apparsa quella di arrivare al più presto all'approvazione di una legge quadro che sostanzialmente identifichi le minoranze e poi provveda per esse (.) la tesi di Bressani si attesta su un 'no' deciso alla legge quadro e su fumose argomentazioni di autodiversificazione (n.r.a. - trattasi di un refuso:  intendevo "autodeterminazione") delle minoranze." Concludevo: "Insomma, poiché principalmente di lingua si parlava, ai convenuti è apparso chiaro che nella DC sta accadendo quanto accadde a Babele. Le 'lingue' sono assai diverse e c'è solo da sperare che i democratici cristiani della provincia di Udine e di tutto il Friuli riescano presto a capirsi, anche per farsi capire."
Non so se prima o subito dopo questo articolo comparve, sul "Corriere del Friuli" che è datato Gennaio 1981, un altro mio pezzo intitolato "Così parlò Bressani". Era un attacco violentissimo e - anche riletto a distanza di tempo - persino ingiurioso.
Il parlamentare era allora Sottosegretario di Stato e l'articolo così si concludeva: "Sì, effettivamente l'on. Bressani è di una linearità esemplare, come la fillossera che distruggeva le nostre vigne o la pebrina che falcidiava gli allevamenti dei nostri bachi da seta." Avessi scritto così di altri (mettiamo di Petracco, per fare un esempio) quanto se la sarebbero questi legata al dito? Vedremo subito che, invece, Bressani si dimostrò uomo di tutt'altra pasta.
Il nostro "Corriere del Friuli" stava per assumere un ruolo importantissimo.. Per cercare di trarre dalle secche le proposte di legge che si occupavano anche del tema della difesa e valorizzazione della lingua e della cultura friulana (scrivo "anche" perché il tema, in Parlamento, allora interessava pure altre minoranze linguistiche storiche, come si è visto), organizzammo il 20 febbraio 1981 un incontro (l'annuncio era pubblicato accanto all'attacco a Bressani), tenutosi nell'aula magra della scuola media "Manzoni", sul tema "Lingua e cultura friulana in cinque proposte di legge" (tante erano quelle che ci risultavano presentate alla Camera; una era dei  radicali che non riuscimmo a contattare).
Partecipanti i deputati Fortuna (Psi), Scovacricchi (Psdi), Gruber Benco (Lista per Trieste) e Baracetti (Pci). Erano andati a vuoto tutti i tentativi di coinvolgere l'on. Bressani (Dc) che era incaricato dal suo partito di occuparsi dell'argomento, ma anche perché i democristiani non avevano ancora presentato una propria proposta di legge.
Bisognava utilizzare  anche il Consiglio comunale di Udine per fare pressione sul Parlamento. Previo accordo con il sindaco Candolini e con tutti i gruppi consiliari (il solo gruppo del Msi-Dn dichiarò di non voler votare a favore, ma lealmente si astenne), venne redatto questo documento: "Il Consiglio comunale di Udine, preso atto che gruppi politici e singoli parlamentari hanno - con diverse iniziative legislative - proposto al Parlamento della Repubblica provvedimenti che si propongono l'obiettivo di tutelare culture locali, tra le quali quella friulana; tenuto conto che ciò avviene per dare concreta attuazione ai dettati costituzionali (art. 6 della Costituzione e art. 3 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n.1); considerato che le peculiarità della lingua e della cultura friulana sono state esplicitamente riconosciute dalla legge 8 agosto 1977, n. 546, allorché si è stabilito che la ricostruzione del Friuli deve avvenire 'nella salvaguardia del patrimonio etnico e culturale delle popolazioni (art. 1) e che (art. 26) l'Università di Udine deve essere 'organico strumento di sviluppo e di rinnovamento dei filoni originali della cultura, della lingua, delle tradizioni e della storia del Friuli', nonché di altri provvedimenti legislativi (D.P.R. 6 marzo 1978, n. 102); fa voti affinché il Parlamento della Repubblica sollecitamente discuta le proposte di legge di iniziativa parlamentare finora presentate, auspicando nel contempo che altre forze politiche, democratiche e popolari, che in Friuli raccolgono i consensi elettorali, presentino loro proposte legislative sull'argomento (n.d.a. - era evidente l'appello alla Dc), sicché il parlamento possa approvare una legge che raccolga il massimo consenso popolare e politico e tanga conto anche degli altri gruppi e comunità presenti in Friuli.
Al fine di manifestare con un atto simbolico la ferma volontà del Consiglio comunale di Udine per la salvaguardia e la valorizzazione della cultura e della lingua friulana, anche attraverso opportune iniziative per un ampliamento degli spazi di fruizione, al testo in lingua italiana viene allegato il testo in lingua friulana." Era il 29 maggio.
L'on. Bressani, come anticipato, non aveva preso cappello per le mie critiche. Anzi. Aveva cominciato ad intrattenere cordiali rapporti con me, sicché, il 3 settembre 1981, mi scrisse questo biglietto: "Caro Di Caporiacco, in una tavola rotonda che si è tenuta a Trento nell'ambito della Festa nazionale dell'amicizia, organizzata dalla DC nazionale, ho fatto un intervento che, forse, le può interessare; esso riflette lo scambio di opinioni che abbiamo avuto a margine del congresso dell'ANCI. Si  è trattato solo di premesse, da cui partire per qualche iniziativa concreta. Cordialmente."
Il 1982 registrò una svolta importante. Fortuna aveva assunto il compito di fare il relatore delle numerose proposte di legge (erano diventate 13), tra le quali - riguardanti specificatamente il Friuli - la n. 1678 firmata da Baracetti e altri e la n. 1881 firmata da Scovacricchi.
Loris Fortuna, l'uomo del divorzio e dell'aborto, grazie alla costante azione di Vittorio Tiburzio, suo compagno di partito e assessore del Comune di Udine, aveva a lungo riflettuto prima di  decidersi a sposare un'altra grande battaglia per i diritti civili: quella della difesa e valorizzazione delle minoranze storiche.
Le due prime proposte di legge del 1978 non erano riuscite a fare passi in Parlamento anche perché non si era trovato un parlamentare di spicco che avesse assunto la funzione di relatore; pure quelle - più numerose, come si è visto - presentate nella successiva legislatura rischiavano di fare la stessa fine. Tiburzio aveva attivamente lavorato per convincere Loris Fortuna ad assumersi l'onere di fare il relatore, facendo poi pesare tutta la sua autorevolezza nei lavori parlamentari.
Fortuna, prima di decidersi, ci parlò schiettamente. Si fosse trattato solo del friulano, non avrebbe accettato. Un uomo fatto per grandi battaglie si giudicava inadatto a sostenerne una, tutto sommato, limitata. Ma se si fosse trattato di sostenere le ragioni di tutte le minoranze storiche presenti nel territorio della Repubblica italiana, allora sì: sarebbe sceso in campo. Fu questa una svolta decisiva. Pur se avrebbero dovuto trascorrere ancora ben 18 anni e nonostante la morte di Fortuna avvenuta nel 1985, si era imboccata la strada che ci avrebbe condotti alla legge di tutela.
Il "Messaggero Veneto" del 4 marzo annunciava (con sicuramente una punta di ottimismo, dato che avrebbero dovuto trascorrere ancora 18 anni!) "Alla commissione affari costituzionali della Camera - Intervento di Bressani - VIA LIBERA ALLA LEGGE SULLA TUTELA DELLA COMUNITA' ETNICO-LINGUISTICHE". Fortuna (al quale il giornale dava poco spazio, dedicandone molto di più a Bressani) aveva svolto la relazione preliminare.
L' 8 ricevetti un biglietto dall'on. Bressani: "Caro Di Caporiacco, eccole il resoconto delle due sedute di commissione dedicate al problema delle minoranze. Confermo la mia disponibilità per l'iniziativa che può essere utile a chiarire le idee anche a noi deputati. Cordialmente."
Qual era l'iniziativa alla quale si riferiva Bressani?
Un altro passo decisivo fu compiuto, sempre grazie ad una iniziativa del "Corriere del Friuli" (cioè di Gianfranco Ellero e mia, perché il nostro giornali era tutto lì!), 11 mesi dopo: il 26 marzo 1982. Nella saletta sotto il municipio di Udine si svolse una riunione sul dibattito avviato in Parlamento. Relatori i deputati Fortuna, Bressani, Baracetti. Ecco l'iniziativa alla quale Bressani aveva dato l'assenso, ritenendola utile . 
Dunque, eravamo riusciti a mettere dietro uno stesso tavolo rappresentanti dei tre più grandi partiti. Anche la Dc, pur con eccessiva prudenza e finalmente, si era mossa. Non va sottovalutato l'apporto di Candolini che, democristiano moroteo come Bressani, aveva spinto molto, consentendoci in Consiglio comunale di far approvare importanti documenti di appoggio all'iter parlamentare.            
Infatti, con tempestività degna di una accorta regia, 14 giorni prima il Consiglio comunale di Udine aveva approvato un altro documento, nel quale "ricordato il voto espresso il 29 maggio 1981, tenuto conto che la Camera dei Deputati ha iniziato la discussione sulle proposte di legge che tendono a salvaguardare le radici della lingua e della cultura friulana, esprimendo la propria soddisfazione, impegna la Giunta a portare a conoscenza del Presidente della Camera, del Presidente della Commissione Affari Costituzionali, del relatore onorevole Loris Fortuna e dei componenti la commissione ristretta questo voto del Consiglio comunale di Udine, per tutto il Friuli, espresso in lingua italiana e in lingua friulana." Seguiva la traduzione in friulano.
Firmarono il documento chi scrive, Giulio D'Andrea (Pci), Gianni Renzulli (Psi), Roberto Iacovissi (Mf), Bruno Cadetto e Giorgio Vello (Dc), Aldo Ariis (Pli), Vincenzo Ilardi (Psdi). Fu votato da tutti i gruppi salvo che dal Msi-Dn che - forse dimentico della precedente astensione - votò contro.
Se ci fermiamo un momento a riflettere, possiamo fin qui concludere che quei solitari documenti (quegli, per qualcuno, "inutili ordini del giorno")  che furono da noi presentati in Consiglio regionale, a partire dal 1969, avevano - a questo punto- sortito due effetti: aver aiutato l'istituzione dell'università di Udine e aver posto le premesse per l'approvazione, in un giorno ancora lontano, della legge di tutela delle minoranze storiche.
Non avevamo sprecato il nostro tempo.
Baracetti, che era intervenuto il 27 luglio 1982 nel dibattito alla Camera sulla seconda legge per la ricostruzione del Friuli terremotato (legge 11.11.1982, n. 828), mi mandò un biglietto, il 2 agosto: " Caro Gino, ti invio il testo del mio intervento alla Camera fatto nella discussione generale sulla 546 bis. Come vedi, avevo presente te, Ellero e la figura politica di Schiavi. Grazie ancora. Mandi." A me suonò particolarmente gradito quel riferimento a Schiavi perché stava a significare che quella sua anche irruente presenza, pur se breve, in Consiglio regionale aveva lasciato un grande segno.
E Baracetti aveva detto, in quel suo intervento:" Ecco quindi la ragione dell'istituzione dell'Università di Udine - nel 1977; ecco la ragione della presenza in questa legge di ulteriori misure per il suo potenziamento. Ecco la ragione per cui in altra Commissione della camera dei Deputati si è avviato l'esame di proposte di legge, tra cui quelle del PCI, che finalmente permetteranno di tutelare e valorizzare la lingua e la cultura friulane, assieme alle altre lingue minori, in base a norme che la Costituzione della Repubblica da ben 35 anni prevede!"
Anche Fortuna, intervenendo sulla fiducia al nuovo governo Spadolini, all'inizio di settembre, non trascurò di sollecitare l'approvazione "di una legge quadro che disciplini la tutela e la valorizzazione delle lingue minoritarie come quella friulana, sarda e altre" ("Messaggero Veneto" del 2.9.1982).
Ma dovevano ancora passare gli anni. La successiva legislatura riaffronterà questa tematica. Ma il nostro lavorio per cercare di ampliare il consenso non cessava.
Il 12 luglio 1983 (nona legislatura), Baracetti, Spagnolli, Polesello, Gasparotto, Cuffaro, Ferri e Virgili avevano presentato una proposta di legge avente il titolo "Norme per la valorizzazione della lingua e della cultura friulane" (le fu assegnato il n. 68); Scovacricchi aveva anche lui presentato un'altra proposta avente il titolo "Provvedimenti per lo sviluppo della cultura, della lingua e delle tradizioni del Friuli" (n. 350).
Il 5 aprile 1984 ci scrisse l'on. Bressani: " Caro di Caporiacco, la ringrazio per avermi antecipato le sue osservazioni sul mio emendamento, prima che apparissero sul Corriere del Friuli. Come lei sa, più che di un emendamento formale si è trattato di un contributo offerto, nell'ambito dei lavori del comitato ristretto, all'elaborazione di un testo unificato. Sui medesimi concetti ho avuto occasione di ritornare, in modo meno informale, in una seduta di commissione. Dal resoconto sommario, che qui unisco, avrà modo di rilevare che su quei criteri di massima si è registrato un'ampia convergenza politica (Virgili è comunista, Tassi del Msi, Ferrara indipendente di sinistra) che consente al comitato ristretto di riprendere la sua attività su una base più solida. Cordiali saluti."
I lettori consentano che si sottolinei la grande funzione che ebbe in quegli anni il "Corriere del Friuli", foglio modesto fin che si vuole, indigesto a qualcuno, come il prof. Petracco che scambiò critiche che volevano essere costruttive per attacchi personali, ma che - anche per essere inviato gratuitamente a chi faceva politica, al clero, alle istituzioni e agli  uomini di cultura, ebbe una notevole influenza finché ci fu possibile tenerlo in vita nelle nostre mani (successivamente passò all'editore Chiandetti che diede alla testata diversa impostazione). 
Loris Fortuna presentò alla commissione affari costituzionali, il 6 febbraio 1985, un nuovo testo coordinato.
Il 20 aprile il "Messaggero Veneto" titolò: "Sì della commissione Affari costituzionali della Camera - A favore Dc, Psi e Pci; contrari Pri, Pli e Msi - LINGUE MINORI: PRIMO TRAGUARDO". Il quotidiano pubblicava fotografie e dichiarazioni di Fortuna, Bressani e Baracetti; dimenticava Scovacricchi e il suo partito che pure era favorevole.
Il 3 luglio veniva depositata una corposa relazione per la maggioranza, firmata da Loris Fortuna, in seno alla prima commissione permanente della Camera. Le proposte di legge prese in esame erano 11.
Ci si avviava alla discussione in aula.
Con le elezioni amministrative, chi scrive era uscito dal Consiglio comunale di Udine tornando definitivamente ad essere semplicemente un cittadino. Era stato rieletto sindaco Angelo Candolini e Loris Fortuna aveva fatto il suo ingresso in quell'assemblea. Ma entrambi morirono in rapida successione.
Anche a causa della scomparsa di Fortuna, che della legge era il relatore di maggioranza, bisognò attendere il 5 marzo 1986 perché, alla comunicazione dell'ordine del giorno trimestrale dei lavori della Camera, Baracetti si accorgesse che - contrariamente agli accordi - l' argomento non era tra quelli dei quali era prevista la discussione. Protestò anche Francesco De Carli (Psi) che ricordò "la magnifica relazione predisposta dal compianto onorevole Fortuna."
Finalmente, il 17 dicembre, si iniziò la discussione. L'onorevole Silvano Labriola, anche lui socialista e presidente della prima commissione, aveva assunto il ruolo di Fortuna; relatore di minoranza era l'onorevole Pazzaglia del Msi.
E questo gruppo parlamentare iniziò subito il fuoco di sbarramento. Presentò, infatti, 2 eccezioni di costituzionalità e una pregiudiziale, proponendo di non prendere in esame il provvedimento legislativo. Ottenne il rinvio della discussione.
Questa poté essere ripresa il 5 febbraio 1987. Parlarono gli onorevoli Gianfranco Fini, Gastone Parigi (pordenonese, il quale si riferì ad un "circolo male intenzionato che si nasconde dietro il 'Messaggero Veneto' di Udine, diretto da Vittorino Meloni"), Giuseppe Rauti. Le questioni pregiudiziali di costituzionalità firmate da Almirante e da Fini furono votate: favorevoli  56; contrari 327. Quella pregiudiziale di merito firmata da Pazzaglia ottenne 49 voti; 335 furono i voti contrari.
La discussione poté avere inizio (il 17 febbraio parlò Scovacricchi). Fu un momento importante ma la nona legislatura era alla fine. Bisognerà aspettare la decima.  

La decima legislatura  si aprì il 2 luglio 1987 e Scovacricchi ripresentò subito la sua proposta di legge, che fu firmata anche dal socialdemocratico Romita, "Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche", alla quale fu assegnato il n. 400.
Il 21 luglio fu la volta dei deputati del Pci Zangheri, Fachin Schiavi, Pascolat, Gasparotto, Bordon, Bianchi Beretta, Petrocelli, Vacca, Samà, Soave, Ferrandi, Cicerone, Cherchi, Sanna, Monello, Rodotà, Bernocco, Garzanti, Bertone, Bassanini, Diaz, Guerzoni, Felissari, Boselli, Turno, Mannino Antonino, Testa Enrico, Minucci, Levi Baldini, Bonfatti Paini che depositarono una proposta di legge avente identico titolo e alla quale fu assegnato il n. 1111.
Silvana Schiavi Fachin, Renzo Pascolat, Isaia Gasparotto erano i tre nuovi deputati friulani che continuavano la battaglia iniziata e portata avanti dai loro predecessori.
L'onorevole Silvano Labriola (che, insieme a Teodori, Giacomo Mancini, Rutelli, Alagna, Faccio, il friulano  Gabriele Renzulli, Zavettieri, Amodeo, Barbalace aveva presentato una analoga proposta  il 7 luglio)  riprese il suo ruolo di relatore riuscendo a portare all'approvazione dell'aula il provvedimento.
Aveva predisposto la relazione della prima commissione permanente il 20 gennaio 1988 sulla base di 11 proposte di legge. La relazione non aveva potuto tener conto della proposta di legge n. 2074, presentata il 16 dicembre dai deputati Danilo Bertoli e Soddu della Dc. A Danilo Bertoli, friulano, era toccato finalmente di presentare una proposta di legge che ricalcava in gran parte la strada già tracciata dall'on. Bressani.
In Friuli, anche da parte dei partiti di destra, vi era ormai la consapevolezza che la legge andava approvata. Restava l'opposizione ferma della destra a livello nazionale.
Passavano i mesi e gli anni. Il 24 ottobre 1991 innanzi alla prima commissione della Camera riunita in sede redigente (cioè per licenziare il testo da trasmettere all'aula), il presidente Labriola - che era anche relatore - riuscì, superando l'accanita opposizione dei deputati del Msi-Dn ai quali s'erano uniti il triestino Camber (allora della Lista per Trieste) e il repubblicano Del Pennino, a far licenziare il testo legislativo. Che poi la Camera approvò. Ma ormai anche la decima legislatura era al termine.
Per dare a Cesare quel che è di Cesare aggiungiamo una testimonianza personale. Si afferma comunemente che fu Spadolini, allora presidente del Senato, a fare in modo che la proposta di legge non fosse messa all'ordine del giorno dei lavori di palazzo Madama e che quindi la colpa della sua non discussione e approvazione durante la decima legislatura gli vada ascritta.
Noi possiamo testimoniare che, tramite il suo segretario personale, un friulano, riuscimmo a parlare con Spadolini durante una sua breve visita a Udine. Ci accolse molto cordialmente e ci disse che lui, repubblicano storico, non era certo d'accordo con quella proposta di legge, ma ci assicurò che non avrebbe fatto nulla per ostacolarne l'approvazione. "Se i capigruppo favorevoli insistono, verrà posta all'ordine del giorno", disse. Si vede, dunque, che questi non insistettero abbastanza.
Bisognò però attendere, tra speranze e timori, la dodicesima legislatura.   
Un numeroso gruppo di deputati del Pds (ex Pci) presentò, il 16 giugno 1994, la proposta di legge n. 709 "Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche". Primo firmatario Corleone, ultimo firmatario (ma pensiamo solo per modestia) il friulano Elvio Ruffino.
Il 18 maggio 1995 le proposte di legge abbinate  n. 74 (Scalia), n. 162 (Brunetti) e 709 (relatore Franco Corleone) finirono all'ordine del giorno della prima commissione e il relatore riassunse le vicende di analoghe proposte che erano state presentate fin dalla settima legislatura (disse ottava, ma si sbagliò). Si riferì al testo unificato che era stato precedentemente elaborato. Iniziò quel giorno il (finalmente) ultimo cammino che porterà all'approvazione della norma da parte della Camera.
 Il 25 novembre 1999 (giorno di santa Caterina) il Senato approvò definitivamente (relatore il senatore Besostri dei Ds) la norma che il 15 dicembre, nonostante i tentativi sconsiderati da parte di alcuni di fare pressioni sul Presidente della Repubblica Ciampi perché non la promulgasse, è diventata la legge 482/1999.
Se ci siamo dilungati a ricordare la lunga strada cominciata nel 1978, dopo che dal 1969 qualcuno aveva cercato di tracciare il sentiero, così brevemente concludiamo, confidando che i fatti recenti siano ancora nella memoria di chi ci legge.
Tanti hanno propiziato il difficile cammino di questa legge. Tra loro, sicuramente, una menzione particolare spetta ad Arnaldo Baracetti che, fino a far superare al provvedimento legislativo gli ultimi ostacoli, si è sempre prodigato. E di questo noi intendiamo essere obiettivi  - e anche grati - testimoni.

I documenti inediti qui citati si trovano nella busta 17A del mio archivio presso l'Archivio di Stato di Udine e sono di libera consultazione dal 2001.

Si legga la pagina seguente: "Toponomastiche furlane" (I cartelli stradali in friulano).